Cemento armato e calcestruzzo, conosciamoli un pò
Il calcestruzzo (cls) è un composto costituito da legante, aggregati fini e grossi (quindi sabbia o ghiaia), acqua; in alcuni casi possono essere aggiunti anche dei sali minerali e/o additivi, per ottenere un prodotto finale con particolari caratteristiche e qualità, fisiche e/o chimiche.
In passato come legante veniva usata la calce, aerea o idraulica, oggi invece il legante più comune che viene utilizzato per la realizzazione del calcestruzzo è il cemento.
Il calcestruzzo unito con una rete o una gabbia di tondini in acciaio costituisce il calcestruzzo armato, comunemente chiamato cemento armato.
Il calcestruzzo è alla base dell’attività edilizia fino dall’epoca romana; oltre due millenni fa i Romani inventarono questo composto, unendo due ingredienti che sono il segreto della sua forza e resistenza, la calce e la cenere vulcanica o pozzolana. Tra questi due componenti avvengono nel tempo delle reazioni chimiche e delle trasformazioni che impediscono la formazione di fratture e rendono questo calcestruzzo molto simile ad un aggregato roccioso.
In epoca moderna la prima applicazione di calcestruzzo armato nell’edilizia è della metà dell’800 in Inghilterra, dove si registra un primo brevetto per il «miglioramento nella costruzione di dimore a prova di fuoco, di magazzini, di altre costruzioni e delle parti delle stesse».
Anche in Italia ci furono dei pionieri di questa nuova tecnica. L’ingegner Angelo Lanzoni è ricordato con una lapide collocata sul palazzo di via Indipendenza al civico 82 a Pavia su cui si trova scritto: «Angelo Lanzoni qui ideava il cemento armato e con priorità di brevetto del marzo 1883 fece del trovato una invenzione italiana».
Il primo ponte viene costruito da Tullio Gozzi sul torrente Avesa a Verona nel 1908.
Pur essendo già utilizzato su larga scala, l’utilizzo del cemento armato in Italia venne regolamentato da una legislazione specifica soltanto a partire dalla fine degli anni trenta del Novecento, con il R.D.L. n.2229 del 16 novembre 1939.
Nella prima metà del secolo viene utilizzato esclusivamente acciaio liscio, per il quale vengono anche fissate le caratteristiche tecniche di riferimento con norme specifiche, che tuttavia nel dopoguerra, per la particolare situazione e l’urgenza di ricostruire, spesso non vengono rispettate, consentendo anche l’utilizzo di acciai non idonei. Tale consuetudine si consolida nel tempo sino ai primi anni ’60, nonostante svariati richiami rivolti agli Uffici Tecnici, preposti al controllo, per una stretta osservanza della normativa del tempo.
Spartiacque nell’evoluzione normativa è il 1957, quando le norme introducono anche le prime indicazioni sugli acciai ad aderenza migliorata, che progressivamente hanno sostituito quelli lisci (il grafico mostra l’utilizzo dei due tipi di acciai tra il 1950 e il 1980).
Del patrimonio edilizio del nostro paese circa il 70% degli edifici ha un’età superiore ai 50 anni, e mediamente è di livello qualitativo inferiore rispetto a quello coevo di altre nazioni europee.
La vulnerabilità fisica degli edifici esistenti è attribuibile a due categorie principali: degrado per vetustà e degrado per ragioni costruttive.
Da un’analisi svolta nel 1999 dal Censis sulla situazione sociale italiana, è emerso che più di 3.500.000 di abitazioni sono a rischio statico e dovrebbero essere sottoposte a verifica; di queste il 37 % per anzianità e il 63 % per cause tecniche.
Gran parte degli edifici in Italia sono stati costruiti nel dopoguerra; fino agli anni ’80 il patrimonio ad alta vetustà rappresentava il 25 % del totale, dopo vent’anni supera il 40 % ed è destinato ad aumentare.
I rischi di bassa qualità tecnica degli edifici e di scarse verifiche progettuali sono dovuti al rapido processo di edificazione. Una notevole quota di rischio va attribuita al boom edilizio della fine degli anni settanta ed in genere alla rapida ed improvvisa urbanizzazione di quell’epoca.
Inizialmente e per molti anni si pensò che il cemento armato potesse avere una vita eterna; ciò è evidentemente falso, perché entrambi i materiali che lo costituiscono sono soggetti a problemi che ne compromettono la resistenza nel tempo.
Il calcestruzzo, se non adeguatamente protetto, può essere attaccato dall’aria inquinata delle città, dai sali presenti nell’acqua di mare e nell’aria in prossimità delle coste, da acidi dei fumi industriali, dal fenomeno della carbonatazione. Esso risente inoltre delle variazioni di temperatura, ed in particolare è vulnerabile al gelo.
L’acciaio, se non ben protetto da uno strato di calcestruzzo (copriferro), è soggetto ad ossidazione, cioè tende ad arrugginirsi. L’ossidazione oltre a compromettere del tutto la resistenza a flessione dell’acciaio (che tende quindi a rompersi molto più facilmente) ne fa aumentare il volume che può così rompere il calcestruzzo che lo ricopre e lo porta di conseguenza a sbriciolarsi.
L’ossidazione può essere provocata da vari fattori, per esempio da infiltrazione di acqua o vapore acqueo attraverso le fessurazioni del calcestruzzo, che possono prodursi naturalmente quando l’elemento strutturale è sollecitato; possono crearsi crepe che aprono progressivamente la strada agli agenti ossidanti; una volta che il processo ha inizio è inarrestabile, se non con specifici interventi di bonifica e recupero, che se ritardati, possono essere diffusi, invasivi ed in alcuni casi economicamente molto gravosi.
Tuttavia esistono sistemi, strumenti e metodiche di indagine, che consentono di svolgere tutta una serie di attività diagnostiche, prevalentemente non invasive, rapide e generalmente poco costose (pacometria, prova sclerometrica, ultrasuoni, misura del potenziale di corrosione, ecc.), con le quali è possibile caratterizzare le strutture e i materiali, riconoscere eventuali patologie di degrado, quantificare il grado di evoluzione del fenomeno e il livello di coinvolgimento della struttura.
Queste attività possono fornire ai soggetti interessati (condomini, amministratore) informazioni sullo stato di salute dell’immobile, che sono fondamentali sia nell’attività di gestione dello stesso, sia nel caso in cui si debbano progettare interventi di risanamento, che così possono essere mirati e proporzionati alla situazione reale, ottimizzando l’efficacia dell’intervento e il rapporto costo/beneficio.